NOTA BIOGRAFICA
Raffaele Pezzuti è nato l’11 Agosto del 1972 a La Spezia e presto si è spostato con la famiglia nella capitale partenopea.
Rivelando sin dalla più tenera infanzia un prorompente bisogno di espressione, è cresciuto, nella cornice serena di affetti saldi e di una città traboccante di colore ed energia, con le matite ed i pennelli alla mano, riversando su fogli e tele quelle gioie, quelle speranze e quelle paure che da sempre accompagnano la giovane età. Dopo aver studiato al liceo artistico ed essersi diplomato a pieni voti nel 1994 all’Accademia di Belle Arti di Napoli, ha proseguito autonomamente la sua ricerca pittorica, rifuggendo fermamente da qualsivoglia compromesso che gli avrebbe sicuramente appianato la strada.
Amava studiare le vite degli artisti, magari alla volta di decodificare meglio sé stesso. Ha amato le forme potenti di Michelangelo, la luce dissacrante di Caravaggio, l’ineguaglibile energia pittorica e psicologica di Rembrandt, la pennellata carica di amore e dramma di Van Gogh; e ancora Goya, Velasquez, Munch e tra i moderni l’immancabile Picasso. Ma soprattutto ha amato l’uomo nelle infinite sfaccettature del suo esistere, pericolosamente in bilico tra infinita grandezza e sterile brutalità, ricettacolo di quel soffio vitale che è dono inalienabile da custodire e far fruttificare ogni giorno. Quando l’intimo sentire di un essere umano lo porta a sentirsi partecipe della sofferenza continuamente generata tutt’intorno le prospettive che si aprono davanti sono sostanzialmente due: chiudersi nel proprio mondo - “Munch aveva questo problema e la sua casa divenne la soluzione. Non vedere, non sentire, non morire ogni giorno”- oppure buttarsi negli infernali ingranaggi della vita, consapevoli però del rischio di venirne fagocitati.
Raffaele ha seguito la seconda e impervia via e lo ha fatto col sorriso sul volto, con quel fare allegro e giocherellone che tanto i suoi cari amavano. Allora si può tentare di spiegare come, appena ventenne e all’insaputa dei genitori, Raffaele si prodigasse nell’assistere i malati terminali in ospedale, oppure di come più tardi andasse “raccattando” i senzatetto per offrirgli un piatto caldo e del calore umano. Immediato è capire che questo suo non risparmiarsi verso gli altri non abbia risparmiato a lui angoscia e dolore: “ spesso credo di essere segnato, come avere un marchio di identificazione di cui non devo mai dimenticarmi”.
A 27 anni è partito alla volta di Milano, città che destava in lui la speranza di incontrare un ambiente artistico fecondo ed attento alle voci dei giovani, ma la disillusione arrivò presto, aggravata dal fatto che in quel periodo i mercanti d’arte richiedevano esplicitamente opere non-figurative e con qualche difficoltà riuscì a trovarne uno interessato al suo lavoro.
Iniziò per lui un periodo difficile in cui, per portare avanti ciò che si era prefisso, lavorava di giorno e dipingeva di notte, ma si sentiva spesso con le mani legate.
Nell’anno 2002 in un turbine di eventi che ha del tragico e del sublime insieme, tutto è venuto a compimento: l’incontro con la persona che aveva aspettato per una vita intera, il matrimonio, l’attesa di un figlio e repentinamente, a soli trent’anni, la sua tragica scomparsa.
|