Mario Apuzzo
Prefazione
di
Nicola Oddati
Napoli è una città che si è distinta
per secoli nel panorama della cultura come una città intellettualmente
viva, ricca di pensatori che hanno dato un forte contributo nel campo delle
scienze umane e, cosa ancora più importante, che sono stati prima di tutto
uomini d’azione, impegnati nel rinnovamento della società civile.
È per questo motivo che sono lieto di ospitare la personale di Mario Apuzzo
nelle prestigiose sale del Maschio Angioino. Mario Apuzzo è un’artista di
riconosciuta fama nazionale noto non solo per la sua arte ma anche per la
capacità di proporre idee che hanno l’obiettivo di rifondare, giorno per giorno,
il rapporto della città con la cultura, impegnandosi così per il rinnovamento
della società civile. Né è un chiaro esempio la sua carriera
artistica che lo vede, tra l’altro, nel 1997 fondare, nella propria casa,
il Centro studi Xeniart come anche l’istituzione nel 2004 del Premio “Leggio
d’Oro”. Credo sia una suggestione importante
quella che ci viene proposta con la mostra “Archeologie del sogno”, un
modo originale per interrogarci sulla contemporaneità e su come questa
possa esprimersi in un linguaggio artistico immediato e accattivante, di volta
in volta rivisitato, un linguaggio artistico che trasforma le tradizioni del
passato in storia del presente e sogni del futuro.
La forma espressiva di Mario Apuzzo nasce, nelle sue opere conosciute,
grafiche e pittoriche, da una suggestiva compresenza di geometria e sensualità.
Le immagini evocano in genere contenitori meccanici, congegni fantastici,
privi di una valenza funzionale, e tuttavia fortemente allusivi ai moderni
processi tecnologici, in una fase che potrebbe dirsi di alterazione dei sistemi
produttivi, senza un fine progettuale, liberamente. In questo contesto
i congegni assumono il senso di una metafora astratta e persino ironica,
carica di rimandi emotivi e psicologici, che interpretano la vita dall’interno,
nei movimenti oscuri e complessi dell’esistere, ma anche dall’esterno,
fotografando simboli e segnali della società postindustriale.
La realtà appare in un suo assetto precario, generando nell’ osservatore
una sensazione come di vertigine, di disequilibrio che suggerisce emotivamente,
anche a causa del taglio inclinato delle superfici, una sensazione di
imminente o possibile ferita. Lo stesso colore, delle grafiche soprattutto,
livido e metallico, appena venato di rosso e solo in parte di oro, accentua
la sinistrità un poco distaccata di “macchine inutili”.
Sicché, all’interno dei congegni si introduce una forma morbida e sensuale,
duttile e mobile, che si intreccia con la struttura metallica. La materia
liquida si discioglie in nodi, in materia pulsante, passa attraverso le feritoie
del metallo, occlude i pori della materia, rende così viva la materia inerte e
morta la materia viva. E’ ancora questo metamorfismo sensuale e fantastico,
ma anche sottilmente drammatico, a caratterizzare la produzione ultima di
Mario Apuzzo, di quest’anno: una produzione
interessantissima e per certi versi inusitata.
Info:
apuzzomario@virgilio.it
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